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Il segmento testuale Antonio La Penna è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 45Analitici , di cui in selezione 2 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: IL « MARCHESI » DI ANTONIO LA PENNA
1. Marchesi, la filologia tedesca, il marxismo. — Nel maggio del 1979, in un convegno per il centenario della nascita di Concetto Marchesi e di Manara Valgimigli, Antonio La Penna lesse una relazione sulla formazione di Marchesi come critico letterario. Ora la relazione, rielaborata e molto ampliata, è divenuta un saggio d'insieme su Marchesi: un saggio denso ed essenziale, che per la prima volta ci dà un'immagine complessiva e convincente di una personalità cosí tormentata, cosí ricca di fascino e di aspetti sconcertanti.
Precedenti autori di libri e articoli su Marchesi hanno creduto di metterne in piú viva luce il valore negando le contraddizioni dell'uomo e dello studioso. La Penna ci presenta un Marchesi fortemente contraddittorio, quale fu in effetti: socialista[...]

[...]archesi, se ne è fatta troppa, da parte cattolica e da parte comunista, anche se, per esempio, l'amore di un Ezio Franceschini per la memoria del maestro è cosí caldo . e puro da rendere degne di rispetto certe evidenti forzature); dall'altro una convinzione che, al di là di aspetti caduchi, il personaggio preso in esame ci abbia lasciato insegnamenti importanti, abbia arricchito la nostra cultura e la nostra umanità.
A prima vista, chi conosca Antonio La Penna considererà forse piú ovvio e comprensibile il distacco nei riguardi di Marchesi che la capacità di adesione e di valutazione positiva. Gran parte dell'opera di La Penna come studioso della poesia, della cultura, della società antica nasce da una sintesi (sintesi creativa e originale, non eclettismo né giustapposizione) tra la filologia di Wilamowitz, Leo, Norden, Pasquali, mirante a riimmergere l'opera letteraria nell'ambiente e nella tradizione culturale da cui trasse impulso e alimento, di intendere storicamente, non come pure « illuminazioni » prive di antecedenti, anche i valori stilisti[...]

[...]lettura di poeti precedenti, nella tradizione culturale a cui il poeta appartiene (La Penna, pp. 37, 55 s., 73 s., 93).
Nella prolusione padovana del 1923 Filologia e filologismo (in Scritti minori, Firenze 1978, rii, p. 1233 ss.: d'ora innanzi indicherò, seguendo il La Penna, questa silloge con SM), al cui esame il La Penna dedica il cap. viii, uno dei piú penetranti del suo libro, Marchesi conduce contro lo « studio delle
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fonti » una polemica che, in ciò che ha di giusto, è una battaglia di retroguardia, perché critica un metodo di scomposizione meccanica dell'opera d'arte e di riduzione del poeta a imitatore passivo dei suoi antecessori, che non era stato proprio nemmeno di tutta la filologia positivistica (anche il positivismo aveva avuto, nelle scienze naturali e umane piú ancora che nella filosofia, i suoi uomini d'ingegno e di genio) e che, comunque, era stato già superato proprio dalla migliore filologia tedesca (se con qualche seria ricaduta in un discutibile neoumanesimo e nazionalismo, non import[...]

[...], ma perché tra cultura e poesia rimaneva secondo lui, come si è detto, un iato). La lettura di Leo non solo non ha spinto Marchesi a rivedere il proprio metodo critico, ma, cosa alquanto strana, non ha nemmeno influito sulla sua visione dell'intera letteratura arcaica latina, che rimane particolarmente infelice (basti pensare all'incomprensione per Ennio, su cui vedi le osservazioni giustamente dure di La Penna, p. 76, e per
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Terenzio). E del resto su Plauto stesso il Marchesi non ha pressoché nulla di originale da dire: il capitolo della Storia su Plauto rimane un esempio di buona assimilazione di idee altrui. Valeva, credo, la pena di notare come fatto pur sempre positivo tale assimilazione; ma il giudizio complessivo di La Penna sulla mancanza di senso della storicità del fatto artistico, sulla carenza di Kulturgeschichte in Marchesi rimane del tutto valido, e non era stato finora notato con tanta lucidità.
2. Il criticoartista. — Abbiamo accennato che meno ovvi possono apparire i motivi per cui, nonostan[...]

[...]e. Marchesi non aveva dimestichezza con questi filosofèmi (al suo antifilosofismo accenneremo in séguito); non credeva (in questo con piena ragione) in un io empirico mera parvenza e in un Io assoluto vera realtà. Ma era intimamente convinto che il buon gusto fosse, per ripetere un'espressione che abbiamo visto usata metaforicamente dal La Penna, un « dono delle Muse » largito a spiriti eletti: poeta et criticus nascuntur, non
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fiunt. E di questa aristocratica certezza di possedere il buon gusto si appagava, senza sentire il bisogno di motivarla. Nei momenti in cui si sentiva socialista o comunista (di momenti bisogna parlare, proprio perché il suo comunismo non era né teoricamente fondato, né basato su una militanza costante) vagheggiava un'umanità alla quale, tutta, i doni delle Muse potessero essere elargiti; ma questa era, in fondo, una speranza lontana e tutt'altro che certa; e se qualcuno gli avesse parlato di distinzione tra
« convincere » e « persuadere », il suo antiscientismo e la sua stessa vocazion[...]

[...]ntrale egli dedica in particolare il cap. iv, « Homo » e « civis », che è forse il piú penetrante di tutto il volumetto.
In tutti i suoi scritti Marchesi ha profuso dichiarazioni di sfiducia nel potere, che la filosofia e la scienza si arrogano, di dare all'uomo la verità
e la felicità. Nessun filosofo « ci ha mai sorretto, aiutato, confortato »; nessuno ci ha dato il rimedio per « evitare l'insonnia, la miseria, la follia »
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(SM, ii, p. 669 s., in uno scritto del 1910: il passo, non breve, è tutto da leggere, e con ragione il La Penna, p. 35 s., ne sottolinea la centralità per capire Marchesi). Al pari della filosofia, la scienza « non potrà mai svelare l'arcano della vita » (Il poema di Lucrezio, Torino, « Quaderni ACI », [1950], p. 16). L'opera di Tacito « non teme fallimento: perché le idee cadono, solo il dubbio rimane » (Tacito, Messina 1924, p. 252; un po' diverso nell'espressione, ma non nel contenuto, in Tacitoz, 1942, p. 186); e nello stesso Tacito parlerà di « quella superstizione o finzione chiam[...]

[...]to il racconto dei suoi due ultimi giorni di vita un tono di « miracolo », anzi di intrecciarsi e susseguirsi di coincidenze miracolose, che non regge ad una riflessione pacata e obiettiva); ma nello stesso tempo è animato da una appassionata e dolorosa polemica contro le degenerazioni politicomorali del cattolicismo. Vale la pena di riportare la coraggiosa dedica: « A quei cattolici che con lo scandalo della loro vita privata
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il quale aggiunge con ragione che « per capire e valutare l'opera di Marchesi » questa eventuale conversione d'un agonizzante « non ha nessuna importanza ». Il Marchesi vivo, e non moribondo, fu un assetato di fede, ma non un possessore di fede. Nella conferenza già citata sul Poema di Lucrezio (p. 15 s.) diceva: « Sapienza e fede sono due luci di varia intensità: non sono due soluzioni. E il dolore dell'uomo resta immoto, se anche è rischiarato: se anche una favolosa felicità nella culla del sapiente o del santo faccia brillare le sue luci lontane ». C'è qui l'accenno vago ad una speran[...]

[...](ed io con lui, e, per ragioni in parte diverse, già Marchesi) possa collocare Lucrezio al vertice della letteratura latina per l'ideologia, non riesco a vedere una inferiorità di Virgilio sul piano artistico e piú generalmente umano. A certe altezze, credo che le graduatorie di valore siano arbitrarie;' e la grandezza di Virgilio, proprio La Penna, in uno dei suoi saggi piú perfetti, l'ha fatta intendere meglio di ogni altro.
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che continua a vivere è spesso quanto di antistorico e antinazionale inconsapevolmente ha messo il poeta » (Voci di antichi, p. 15; e ancora, p. 18: « Tutti victi, tutti sconfitti, in questo mondo virgiliano dominato dal dolore »). E cosi l'Orazio amato dal Marchesi non è l'Orazio « romano », ma l'Orazio « privato », scettico, antirigorista, saggio di una saggezza che è l'opposto della presuntuosa e dogmatica filosofia (rimane tuttavia strano che Marchesi si sia accorto troppo fuggevolmente dell'esistenza di un Orazio tutt'altro che « romano » anche nelle Odi; se ho ben visto, un capolav[...]

[...]vale della Pharsalia (SM, i, p. 247, segnalato brevemente dal LA PENNA, p. 21) Marchesi sembra aver intuito, attraverso il Fortleben di Lucano nel Medioevo, i due principali motivi ispiratori — strettamente legati l'uno all'altro — di questo poeta: l'esasperato e disperato libertarismo e la negazione della provvidenza divina. Ma nella Storia questa intuizione ha scarso sviluppo; e il capitolo su Lucano è oscillante e scialbo.
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prima edizione (Messina, Principato, 1920) tale è l'identificazione del critico col suo autore, che la parte sulle opere viene ad essere costituita in misura preponderante da lunghissimi brani tradotti, quasiché non vi fosse pressoché nulla da aggiungere a ciò che Seneca disse (questa caratteristica si attenua nella seconda edizione, che reca il segno di un faticoso rifacimento, anche se il giudizio complessivo su Seneca non muta).
Quanto a Tacito, il La Penna ha, come si è visto, indicato le ragioni per cui questo patriota, imperialista, conservatore in politica interna ha tuttavia pro[...]

[...]eo all'Atlantico ». Presa alla lettera, nella sua prima parte, questa asserzione è, sia detto senza venir meno al rispetto per la memoria di Marchesi, una vera assurdità; e assurdità non minori vi sono nelle righe che abbiamo omesso, indicando l'omissione con punti sospensivi. Parrebbe che Marchesi non abbia saputo, sulla funzione del teatro in Atene, ciò che sa ogni studente di liceo. Lascia soprattutto sconcertati (anche per
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chi ricordi l'insistente e, in parte, poco fondata difesa della retorica che Marchesi ha già fatto nella Storia, if, pp. 3537) quell'accenno alle « sale di recitazione »: le declamazioni dei retori dell'età imperiale sarebbero state piú « vicine al popolo » che le orazioni di Demostene! Ma la vera motivazione di questa pur distorta idea della maggiore popolarità e modernità della letteratura latina è nelle ultime parole: la letteratura latina è il prodotto di una cosmopoli: la « moltitudine », la « folla » che abita questa cosmopoli non è un « popolo » organizzato in qualche modo politic[...]

[...]che traducendo Demostene o Livio. Per di piú, con quest'argomentazione Marchesi si vedeva costretto a porre sullo stesso piano d'intraducibilità i greci e i latini (e infatti citava anche i lirici greci): dunque insegnamento anche del greco nella scuola dell'obbligo? E infine è alquanto sforzato il ricorso a questa tesi da parte di un critico che, come si è detto, tranne eccezioni rarissime, citò sempre brani latini tradotti!
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uomo di Stato fu il fondatore dell'impero romano quale organismo politico universale »7. In confronto a Cesare, Augusto, osserva il La Penna (p. 76),
« non riscuote un'ammirazione neppure lontanamente paragonabile ». Ciò mi sembra vero soltanto in parte. Certo Marchesi non ha attribuito ad Augusto la genialità di Cesare, né lo poteva; ma non ha nemmeno accentuato, come altri studiosi, il contrasto fra la mediocrità dell'uno e la grandezza dell'altro. Anche ad Augusto è tributata una viva lode per quel punto che piú importa a Marchesi: « Con uguale risolutezza procede la politica unitari[...]

[...]eo: siamo sulla via che porta al concetto crociano della storia che è sempre storia contemporanea, o addirittura all'atto puro di Gentile.
Subito dopo, la collocazione muta alquanto: Marchesi, piú che all'idealismo neohegeliano, è avvicinato, sia pure indirettamente, « a forme di irrazionalismo di ispirazione nietzschiana e poi bergsoniana », e distaccato, anche se non del tutto, dal crocianesimo. Infine La Penna rammenta che
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già nella giovinezza catanese Marchesi « aveva respirato l'aria del tardo positivismo, che diventava sempre piú agnostico [...1; probabilmente alcuni fili uniscono lo scetticismo e l'irrazionalismo di Marchesi col tardo positivismo agnostico e vagamente religioso ».
Non bisogna imputare a oscillazioni o incoerenze del giudizio di La Penna le oscillazioni e le incoerenze che vi furono effettivamente in Marchesi. Io credo, tuttavia, che l'interpretazione di La Penna sia troppo sforzata in senso idealistico, e che Marchesi abbia non soltanto assorbito da giovane, ma sostanzialmente conserv[...]

[...]ricali e ansie religiose che tuttavia, dinanzi all'« antiprovvidenzialismo » cosí evidente nella realtà tutta quanta, non giunsero mai a placarsi. Perfino il Pascoli, che pareva il piú predestinato a finire nel cristianesimo, non vi fini, e nella prefazione a Odi e inni scrisse, accanto a banalità antisocialiste, parole dignitose di replica a chi lo sollecitava a una conversione. Ma in verità, se si confrontano gli scritti dei
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convertiti (per esempio il famoso Per una fede di Arturo Graf) con quelli dei non convertiti, si vede che non c'è quasi nessuna differenza: anche i convertiti continuarono a sentire piú il mistero, con le sue ansie, che la fede o la certezza. E ciò conferma quanto abbiamo già detto, sulle orme del La Penna, riguardo alle forzature dell'interpretazione cattolica della personalità di Marchesi.
In tale atmosfera tardoottocentesca una parte importante la ebbe un modo particolare di intendere Lucrezio, come seguace di un materialismo che avrebbe dovuto liberare l'anima dalle ansie e dai timo[...]

[...]Croce e, con molto maggiore nettezza e coerenza, Gentile sapevano che una filosofia che pone come unica realtà il Soggetto assoluto deve distruggere anche la nozione empirica di tempo: non esiste un prima e un dopo cronologico, ma soltanto logico, una « storia ideale eterna » che è il ritmo dialettico dell'eterno Presente. A tutta questa costruzione Marchesi rimase estraneo (e per la verità ciò non fu un danno: a volte la debo
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lezza filosofica, che in sé è certo un limite, salva dai cavilli e dalle mistificazioni della filosofia). Il « presente del passato » e il « presente del futuro » sono per Marchesi l'eterno ripetersi della vicenda umana, costituita di infelicità e, per la maggior parte degli uomini, di meschinità ed egoismo, di sopraffazioni compiute
e di sopraffazioni sofferte. Nel Tacito (2a ed., p. 244), dopo una delle tante allusioni a quel passo di Agostino, aggiungeva a commento: « In verità la storia è il continuo e sempre rinnovato spettacolo del bene che non cessa di lottare e di soccombere e d[...]

[...]archesi, p. 110 ss. Ma discussioni filosofiche, pare sicuro, non ve ne furono. Sull'equivoco per cui molti considerarono ortodossamente idealistica e addirittura crociana la Storia della letteratura latina vedi P. TREvES, Ritratto critico di C. Marchesi, « Nuova rivista storica » LII, 1968, p. 116 ss. (articolo molto dotto e molto ricco di notazioni acute. anche per chi non condivida il punto di vista idealistico del Treves).
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pur convintissimo di essere dalla parte del vero, si sentisse troppo poco ferrato filosoficamente per discussioni di questo genere. Ma i suoi amici piú cari, anche quando la generazione propriamente positivistica (alla quale aveva appartenuto il suo maestro Sabbadini) volse al tramonto, egli li ebbe fra uomini accomunati a lui dal « bisogno di Dio », o tra cattolici di spirito aperto, o anche tra idealisti, ma idealisti eterodossi. Fra i primi, oltre il Bertacchi che già abbiamo ricordato, va particolarmente segnalato Eugenio Donadoni, un critico che presenta con Marchesi forti affinità [...]

[...]e in forma meno schematica, agli stessi Marx ed Engels; e il volontarismo dei marxisti occidentali novecenteschi produsse poi, e tuttora produce, aberrazioni ben peggiori). Ma in chi si sentiva legato tuttora, per molti aspetti di cultura e di « umanità », alla civiltà borghese, la necessità del socialismo poteva non coincidere con la sua desiderabilità, con la speranza in un mondo anche culturalmente e umanamente piú libero e
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(compatibilmente con certi aspetti duraturi della « condizione umana ») piú felice: poteva essere semplicemente qualcosa da accettare in quanto ineluttabile, come un fenomeno della natura, come l'evoluzione biologica a cui molti socialisti di quell'epoca accostavano lo sviluppo storicosociale. Negli anni Novanta, Arturo Graf, aderendo al socialismo, scriveva a Turati: « Io accetto tutta, ne' suoi fondamenti, la dottrina socialista; non per la promessa che arreca di una maggiore felicità avvenire (io credo a una infelicità crescente col crescere della coscienza); ma perché riconosco in es[...]

[...]ale svanisce se si ritiene che il proletariato sia una marmaglia inguaribilmente inferiore), ma si sofferma sul terribile prezzo che ciò costerà: perdita dell'« amore », vuoto « al posto di Dio che irraggiava di beatitudine le anime delle sue creature e dell'imperadore che movea oste per la sua gente » (curioso, sul finire di questo articolo oraziano, questo rimpianto « medievale »). Che avremo al posto di tutto ciò? « I nuovi
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canti del lavoro? Oh forse, no. » L'unica speranza è che « noi » (noi intellettuali umanisti) riusciamo a far rivivere, « con i canti della Georgica immortale, il sorriso e lo scherno della sapienza oraziana » (p. 561). Si noti il dilemma: o una poesia populistica e retorica, o la reviviscenza della grande poesia antica. Una cultura, una poesia nuova che si innalzi un po' al di sopra dell'Inno dei lavoratori è esclusa a priori da Marchesi.
Il 1908 cade in un periodo in cui gran parte dell'intelligencija italiana, che si era accostata al socialismo durante la reazione di Crispi e di Pell[...]

[...]nalati dal La Penna a p. 27 manca questo, che è certamente il piú spiacevole, tanto più in quanto rappresenta l'unica congettura che il Marchesi, critico conservatore, introdusse nel testo: magari fosse stato, questa volta, conservatore, e avesse lasciato stare manus, che va benissimo!); e tuttavia, in confronto alle edizioni del Leo e di PeiperRichter che allora erano le sole disponibili, segna un progresso non indifferente.
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È noto che il Leo, dalla constatazione ovvia (e già fatta dal Gronovius) della superiorità del codice Etrusco (E), era giunto ad una assurda superstizione, fino a considerare tutte le varianti della numerosissima famiglia A come frutto di con gettura, e a far tutto il possibile per non accoglierle nel testo nemmeno come congetture, e a introdurre molte congetture sue e del Wilamowitz, quasi tutte infelici (il Leo piú tardi eccelse anche nella critica testuale, come editore di Plauto; ma buon congetturatore non fu mai; e il Wilamowitz non era buon critico di testi latini, e meno che mai d[...]

[...]one giusta era stata già prescelta da vecchi filologi; ma è pur sempre un merito del Marchesi l'averla rivalutata contro le edizioni allora piú recenti e accreditate). Al v. 715 tantum scelus di A (preferito dal Marchesi contro saevum scelus di E e degli editori) non è sicuro, tuttavia ha, nella sua indeterminatezza, maggior forza enfatica, e l'ipotesi del Marchesi sulla genesi dell'altra lezione non è trascurabile. Al v. 563
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concordo col La Penna (e con tutti gli editori tranne Marchesi) nel ritenere che l'ordine delle parole di E sia piú consono allo stile di Seneca; eppure il confronto addotto da Marchesi con l'ordine delle parole nel modello virgiliano non è privo di finezza, e la lezione che egli preferisce non è tramandata dal solo Riccardiano, ma dall'intera classe A.
Questa mia difesa dell'edizione del Tieste va considerata, intendiamoci, come una difesa ben delimitata: i grossi difetti a cui già abbiamo accennato restano, e l'edizione rimane il lavoro di uno studioso non privo di qualità anche in cr[...]

[...]edizione di Arnobio non è soltanto una continuazione piú cauta
e bibliograficamente piú aggiornata del vecchio conservatorismo « all'italiana » del Marchesi giovane: è una svolta e un'adesione a questo nuovo conservatorismo, particolarmente necessario per un autore come Arnobio, cosí pieno non solo di volgarismi e arcaismi, ma di espressioni personali, di hapax, quasi tutti disconosciuti dal mediocrissimo editore anteriore al
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Marchesi, August Reifferscheid. Per la prima volta nella sua vita Marchesi si mise a studiare un testo parola per parola, facendo i conti con la linguistica e la filologia fiorite fuori d'Italia, abbandonando (non nella concezione generale dei rapporti tra filologia e critica letteraria, ma nella tecnica filologica sí) il provincialismo. E non si limitò a far tesoro dei contributi altrui: notò egli per primo molte particolarità, inconcinnità sintattiche, stranezze individuali del latino di Arnobio (ricordo un solo esempio fra i tanti: l'uso di homo = corpus contrapposto all'anima, cfr. p[...]

[...]la filologia « puntuale » che gli venne piú tardi. Io suppongo, diversamente da Franceschini (op. cit., p. 157), che sia stata questa svolta a non fargli ripubblicare in alcuno dei suoi volumi piú tardi la prolusione Filologia e filologismo, e, aggiungo, a fargli apprezzare lavori di filologia « arida » come gli Studi sui Topici del Riposati (dr. Franceschini, p. 44). Ma, detto tutto ciò, vorrei ancora pregare di non frainten
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dermi: anche nell'ultimo Marchesi la filologia, pur tanto meglio apprezzata e praticata, rimase un'attività marginale.
9. Tommaso Fiore e gli « intellettuali disorganici ». — Se ora, dopo essermi soffermato cosí a lungo sul Marchesi di La Penna (mettendo a dura prova la pazienza dell'eventuale lettore), non mi soffermo sul piú breve saggio su Tommaso Fiore interprete di Virgilio (pp. 107131), non è perché non lo consideri degno del precedente, ma soltanto perché lo spazio ormai manca e perché in questo caso non avrei da esprimere osservazioni o aggiunte, ma soltanto consensi. Dirò solo [...]

[...]re che non sia dominio di classe o esente dal pericolo di degenerare in dominio di classe, un organismo statale che coincida col libero sviluppo di tutta la società, sono una mèta lontana, forse raggiungibile solo quando lo stato sia estinto; finché restiamo lontani da quella mèta, è bene, anzi necessario, che ci sia una cultura non controllata e non manipolata dal potere.
Di questa cultura, attualmente minoritaria ma non disposta a capitolare, Antonio La Penna è oggi un rappresentante di primo piano, non solo in Italia. Nelle sue opere (nelle maggiori che ben conosciamo e ammiriamo, e in questa che soltanto per la mole, non per la forza dell'ingegno, è « minore ») l'obiettività della ricostruzione e del giudizio storico e la partecipazione a una battaglia politicoculturale non si contraddicono mai, ma si potenziano a vicenda. Perciò mi piace, al di là di episodiche divergenze su punti particolari, esprimergli ancora una volta il mio sostanziale accordo.
SEBASTIANO TIMPANARO



da «Belfagor» Antichità in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: IL « MARCHESI » DI ANTONIO LA PENNA
1. Marchesi, la filologia tedesca, il marxismo. — Nel maggio del 1979, in un convegno per il centenario della nascita di Concetto Marchesi e di Manara Valgimigli, Antonio La Penna lesse una relazione sulla formazione di Marchesi come critico letterario. Ora la relazione, rielaborata e molto ampliata, è divenuta un saggio d'insieme su Marchesi: un saggio denso ed essenziale, che per la prima volta ci dà un'immagine complessiva e convincente di una personalità cosí tormentata, cosí ricca di fascino e di aspetti sconcertanti.
Precedenti autori di libri e articoli su Marchesi hanno creduto di metterne in piú viva luce il valore negando le contraddizioni dell'uomo e dello studioso. La Penna ci presenta un Marchesi fortemente contraddittorio, quale fu in effetti: socialista[...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Antonio La Penna, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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